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L’EDITORIALE – Contatto, scintilla e via: polizia reprime con la violenza vs i manifestanti assalgono la polizia

Contatto (violento fra dimostranti e forze dell’ordine), scintilla e via: si alza il sipario e la recita è sempre la stessa con politici e media gli uni contro gli altri a testa bassa: la polizia reprime con la violenza vs i manifestanti assalgono la polizia.

Ma questa volta c’è un però che ostacola, a motivo del suo ingombro, il consueto copione: “Il Presidente della Repubblica -è scritto nel comunicato diramato dal Quirinale- ha fatto presente al Ministro dell’Interno, trovandone condivisione, che l’autorevolezza delle Forze dell’Ordine non si misura sui manganelli ma sulla capacità di assicurare sicurezza tutelando, al contempo, la libertà di manifestare pubblicamente opinioni. Con i ragazzi i manganelli esprimono un fallimento“.

Poche righe a difesa di un principio costituzionale (articoli 3, 17, 21) talmente noto e (teoricamente) condiviso, quello della libertà di manifestare e di esprimersi ovviamente in modalità pacifiche e garantendo la legittimità dei comportamenti, da fare apparire quasi banale il comunicato medesimo in particolare con l’inciso trovandone condivisione che, essendo riferito al soggetto agente, rende l’interlocuzione tanto più simile  a quelle che si trovano nei convegni ove, sui massimi e più rarefatti principi, si registra sempre l’adesione di tutti a prescindere dalle opposte convinzioni di merito.

Ma il fatto che provenga, la nota, dalla Presidenza della Repubblica toglie ogni dubbio circa la sua opportunità.

Di conseguenza, è implicito, la forza può intendersi unicamente come ricorso alla necessità ed extrema ratio d’intervento per evitare l’illegittimità prima di che lo Stato, in persona delle Forze dell’Ordine, utilizzi altri modi: cerchi la trattativa e la persuasione, vale a dire il mantenimento della manifestazione nell’alveo della obbligatoria legalità (assenza di violenza e di danni) e poi, se non è possibile altro, si ricorra alla forza.

Quindi, invece di barricarsi a vicenda tutti i portatori d’interesse coinvolti, a cominciare dal Ministro degli Interni, dovrebbero operare per una inchiesta e verifica dei fatti che si realizzi subito e non quando l’eco della vicenda sarà oramai scolorita da altre cose e, di fatto, non più di interesse dei cittadini che in ogni caso tendono a dimenticare in fretta.

Mentre questa è vicenda per nulla da dimenticare perché fornisce la misura del grado di civilizzazione e di democrazia effettiva del nostro Paese (sempre diversa dalla pletora di dichiarazioni di cui si farebbe a meno) nel contesto attuale.

Da un lato è difficile immaginare che le forze dell’ordine in piazza agiscano di propria iniziativa senza orientamenti e senza ordini, lasciando la decisione in mano (è il caso di dirlo) ai singoli agenti e, dall’altro, è necessario accertare se veramente i manifestanti erano solo studenti che si proponevano di comunicare pacificamente un’opinione, sebbene contraria a quella governativa, o se agivano anche per raggiungere obiettivi sensibili con l’intento di recare violenza e danni. 

Nel caso  in virtù di infiltrazioni da parte di agenti -estranei o interni- con fini strumentali e devianti come da esperienze già vissute: allo stato informazioni giornalistiche riportano notizia di alcuni feriti anche fra le forze dell’ordine e il fatto che della manifestazione non fosse stato dato preavviso all’autorità (obbligo stabilito nell’art. 17 Cost.).

Con i ragazzi i manganelli esprimono un fallimento è in effetti verissimo, ma il fallimento (dello Stato, ndr) non si limita invero al contingente (e si confida non ripetibile) pestaggio di Pisa e Firenze e alle scelte, si vedrà quali, della polizia quanto piuttosto anche a tutto quello che viene prima di una singola manifestazione di piazza, cioé alle condizioni in genere con le quali i giovani vengono accompagnati a diventare cittadini e agli esempi che quotidianamente ricevono in alto loco (espressione talvolta eccessiva) e qui verosimilmente una qualche considerazione  non guasterebbe.

Il contesto e lo scenario della comunicazione e della politicanza (i giovani sono sovente e giustamente attratti in modo naturale dall’idea di cimentarsi nell’impegno politico) è quasi ovunque avvelenato dal virus della violenza (verbale e non sempre solo verbale) e dell’odio reciproco il cui fine dichiarato è asfaltare (bel neologismo, complimenti) il prossimo che, se non è della compagnia, risulta un nemico giacché è scomparso il concetto o uso di contrario -in quanto significativo di differente o diverso (è in sofferenza, davanti alla hybris dei protagonisti della Terra, perfino la diversità biologica)- sventuratamente sostituito dallo univoco e inappellabile contro della banda.

E’ su questo piano che si misura lo stato di una democrazia e i questurini, ben rappresentanti dal ministro che ebbe a esprimersi in questo senso alludendo a se stesso, non sono certamente gli unici soggetti da coinvolgere salvo, ovviamente, per loro specifiche responsabilità.

In una organizzazione statale democratica ciascuna rappresentanza o forza agente deve fare (e poter fare) la propria parte nella libera dinamica operativa e nel libero confronto reciproco rimanendo comunque e in ogni caso nel rispetto del prossimo che, ove e se vulnerato, va subito difeso con certezza di diritto e rapidità d’intervento poiché è certo e ineliminabile che mele marce ce ne siano sempre e ovunque.

Questo non si ritiene possibile?

Allora si smetta di sproloquiare (in mala o poca fede) intorno alla democrazia e alla libertà: ambedue abbisognano infatti di un minimo comune denominatore essenziale, sul piano culturale ed etico, accettato senza riserve da parte di tutti se no è solo via mala che conduce alla tirannide perché di democrazia guasta si può anche morire.

E a quel punto anche la libertà è già persa, e da tempo.

Chi volesse dare uno sguardo fuori dalla finestra velata di ragnatele, vada di grazia a rivedere le inquietanti fotografie che Reuters ha pubblicato alcuni giorni or sono sulla polizia moscovita che sgombra con la forza quattro gatti (peraltro coraggiosi come leoni perché lì farsi identificare costa caro) che portavano pochi fiori, nella neve, davanti alla fotografia di un contrario, oppositore, dissidente (forse l’ultimo) morto in vincoli, così, all’improvviso.

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