L’EDITORIALE – Repubblica Islamica dell’Iran
Il giorno in cui è stato chiaro che il presidente iraniano fosse perito nell’incidente del suo velivolo impegnato in atterraggio di emergenza in Azerbaigian, l’ayatollah Ali Khamenei, Guida religiosa suprema iraniana, ha riunito d’urgenza il Consiglio di Sicurezza del Paese e quindi diramato al popolo tramite televisione una dichiarazione politica e di cordoglio che Reuters ha pubblicato e che è interessante leggere per cercare di rendersi conto circa quale sia lo spirito del tempo del governo di questo millenario grande Paese.
“In nome di Dio. Veniamo da Dio e ritorniamo a Lui. È con grande tristezza e rammarico che ho ricevuto l’amara notizia del martirio del devoto studioso (religioso), del popolare presidente competente e laborioso, del servitore dell’Imam Reza (la pace sia su di lui), dell’Hojjatoleslam (titolo religioso) Ebrahim Raisi e dei suoi cari compagni. Che Dio lo benedica e gli conceda la pace. Questo sfortunato incidente accadde durante il suo periodo al servizio della nazione. Raisi è stato una persona nobile che, sia durante che prima della sua breve presidenza, ha messo i suoi sforzi senza sosta al servizio del popolo, del Paese e dell’Islam. In questo tragico incidente, la nazione iraniana ha perso un servitore sincero e prezioso. Per lui, il benessere e la soddisfazione del popolo erano messi al di sopra di tutto e l’ingratitudine di alcuni malintenzionati non gli impediva di lavorare giorno e notte per migliorare gli affari correnti”.
L’Iran è luogo dove, secondo il metro di pensiero occidentale, una rigida teocrazia, di orientamento islamico sunnita e per questo in dissidio anche con larga parte dell’islamismo sciita radicato fra gli Arabi (gli Iraniani, a differenza degli Arabi di etnia e lingua afro-asiatica, sono di ceppo indo-europeo e ci tengono a sottolinearlo) tiene e gestisce il potere con oppressione e violenza onde l’opposizione è circoscritta e silenziata per il tramite di arresti, detenzione politica e condanne sia temporali sia capitali.
Ne fa le spese chi non si sottomette aspirando a pensare con la propria testa: giovani, donne, artisti, politici etc.
Si dichiara Repubblica (a dimostrazione che le parole sono estensibili fino a coprire il nulla) islamica dell’Iran, costituita nel 1979 con una nuova Costituzione, tuttora vigente, all’esito di una dura lotta socio-politica fra forze laiche e religiose in cui prevalse il clero che conferì a vita a Khomeinī il ruolo di guida religiosa del paese.
Khomeinī era stato per anni l’antagonista principale dello scià il quale, dal canto suo, aveva governato reprimendo il dissenso con la polizia politica e che nel 1975, dopo un bipartitismo comunque fasullo, aveva imposto il partito unico abbandonando la precedente finzione, ma che non riuscì più a mantenere il potere quando dal 1977 l’opposizione paralizzò la vita interna con scioperi e manifestazioni e anche l’esercito si dissolse costringendolo alla fuga negli USA all’inizio del 1979.
L’ayatollah Khomeinī, in esilio a Parigi dal 1963, da dove peraltro (riverito da molti intellettuali laici di sinistra critici verso gli USA) enunciava a chiare lettere come si sarebbe comportato una volta al potere, tornò in patria e prese le redini del governo inizialmente appoggiato dalla maggioranza della popolazione che comprensibilmente confidava in un cambio di condizioni di vita.
Ebbero quindi origine i noti processi della rivoluzione islamica iraniana in crescita progressiva, presto oggetto di vasta preoccupazione sia a livello dei paesi arabi del Golfo sia a livello internazionale (nel 1979 ci fu l’episodio dei funzionari dell’ambasciata statunitense a Teheran presi in ostaggio e rilasciati dopo due anni in cambio dei depositi di denaro congelati negli USA, il grande satana).
Il finanziamento al terrorismo e la destabilizzazione dello scenario politico (finitimo e non), il programma ufficiale dell’annientamento di Israele e il valido sostegno a chi condivide il progetto così come la questione nucleare sono esperienza nota di anni recenti e sempre in corso.
Ai vertici iraniani sono prestamente giunte espressioni di cordoglio e partecipazione worldwide (forse con qualche significativa assenza) e, in particolare, nei diplomatici messaggi dei paesi arabi è ricorrente il termine ‘fratelli’ come anche il riferimento all’Altissimo il cui nome, da sempre, idolatricamente avvizzisce nelle parole e negli scritti di uomini che con temeraria hybris se ne impossessano a fini propri.
Anche da parte del Vaticano è giunto a Khamenei un messaggio a nome del papa che affida le anime dei defunti alla misericordia dell’Onnipotente e assicura le preghiere per coloro che piangono la loro perdita, soprattutto le loro famiglie e invia l’assicurazione della vicinanza spirituale alla nazione in questo momento difficile.
Di certo la misericordia dell’Onnipotente è una realtà incommensurabile oltre che, per nostra fortuna, velata nel più profondo mistero perché diversamente non esisterebbe neanche una (piccola) speranza.
E pregare per i nemici (della vita altrui, della libertà, della verità, della pacifica convivenza etc) è uno degli insegnamenti principali e in assoluto più difficili, oltre che nella vita quotidiana regolarmente pretermessi, del Vangelo.
Sorge peraltro una considerazione circa a quale titolo il papa agisca in questi casi, se come capo di Stato, per quanto minuscolo, o Vicario e poi valutare quanti innumerevoli messaggi di cordoglio e di preghiera dovrebbero essere inoltrati ogni giorno.
E poi un’altra ancora: Gesù insegna la distinzione fra Cesare e Dio con le conseguenti diverse attribuzioni e, se si può prestare fede al primo storico della Chiesa, l’evangelista Luca riferisce negli Atti (6, 1-7) come Pietro, il primo vicario, e gli apostoli abbiano istituito il diaconato per le opere materiali riservando a sé ‘la preghiera e il ministero della parola’.
Se è necessaria una organizzazione statuale per consentire al Vicario e ai successori di continuare nei tempi il compito loro affidato dal Maestro, il quale nondimeno nel colloquio con la Samaritana sembra ben orientato a superare le strutture temporali preferendo loro quelle spirituali, forse anche nello stato del Vaticano una differenza fra Dio e Cesare non sembrerebbe priva di senso: il papa e, in parallelo, gli affari terreni affidati a taluni ‘di buona reputazione, pieni di Spirito e di saggezza’.