APOCRIFA – Teologia della prosperità
Quasi a simbolo del neo dipartimento della Casa Bianca denominato Ufficio della Fede (da noi lo sta copiando, pare, la Lega) è circolata una fotografia di gruppo, scattata nello Studio Ovale, che ritrae un presidente insolitamente pensoso, nella forma apparentemente raccolto in meditazione e a testa china, contornato da uno stuolo di persone che con espressione ispirata tendono le mani verso di lui o addirittura gliele impongono.
Dapprima presentati come collaboratori costoro sono poi stati individuati come predicatori evangelici (negli USA i cristiani evangelici sono circa 40 milioni e, in stragrande maggioranza, votanti trumpiani) e fra loro svetta una donna in bianco che dicono essere attrice della conversione religiosa del taikùn oltre che responsabile incaricata del neo dipartimento.
A parte l’iconografia della comunicazione ufficiale, che ciascuno considererà come crede (c’è chi, toccato dall’aura mistica del ritratto di gruppo, ha evocato -con ardito volo più di Icaro che di Pindaro- l’Ultima Cena; chi ha pensato alla seduta spiritica e chi, più sobriamente, a una tradizionale americanata), è interessante leggere la sostanza del messaggio.
La donna in bianco, la più prossima al presidente e colei che lo tocca, è accreditata per essere una intraprendente (in America chi sente l’ispirazione fonda la sua propria chiesa) tele-predicatrice il cui credo consiste nel qualificare la ricchezza materiale come dono che Dio elargisce a chi gli è fedele.
E’ circolata anche una breve ripresa di questa pastora, al microfono di un pulpito virtuale, mentre predica con foga non dissimile da quella di Kruscev buonanima quando all’ONU, per meglio chiarire il pensiero, batteva una scarpa sul tavolo: nella specie alla vivace signora era perfino scivolata la veste da una spalla.
La Prosperity theology (talvolta presentata anche come prosperity gospel, vangelo della prosperità) è senza dubbio enunciato confortante e appagante per ricchi e abbienti considerato che il successo materiale e in ispecie finanziario è, in questa prospettiva, visto come evidenza di grazia divina e di benedizione.
Questa teologia della prosperità è già stata ed è criticata, in loco, da esponenti di altre varie confessioni cristiane di ceppo protestante, come Pentecostali e movimenti carismatici, che le addebitano irresponsabilità, promozione dell’idolatria e contrarietà alla Bibbia.
Ma, al di fuori di singole e motivate opinioni, proprio sulla Bibbia, la quale è da ognuna delle parti evocata a fondare sia i pro sia i contra delle rispettive contrastanti enunciazioni, è agevole un’osservazione trasversale.
La Bibbia, insieme di libri con diverse connotazioni teologiche, sapienziali, poetiche e storiche, è, specificamente nella parte vetero-testamentaria, una miniera pressoché infinita ove chiunque è in grado, volendo, di trovare qualsivoglia motivazione in particolare se usa il metodo di de-contestualizzare e di isolare singole parole o frasi.
Metodo questo già teorizzato, fra i molti (anche dalla Meloni alla Camera giorni or sono) che da sempre lo usano per arma o per polemica, da un prefetto di Parigi per cui era (è) sempre possibile, opportunamente ritagliandone parole o frasi pur autentiche, accusare chiunque di qualunque colpa.
Che la ricchezza materiale sia un bene, segno tangibile della benedizione di Dio, trova spazio a esempio nella Genesi la quale descrive Abram come molto ricco in bestiame, argento e oro (Gen 13,2) e del pari delinea il figlio Isacco il quale, avendo seminato, ebbe a raccogliere il centuplo per essere stato benedetto dal Signore (Gen 26,12 ss).
Ugualmente, nel Deuteronomio, la terra che il Signore sta per dare a Israele, se osserva i suoi comandi, è un luogo di ogni abbondanza (Dt 8, 7-10) e per di più, sempre a patto di fedele obbedienza, il Signore, oltre a ogni ricchezza materiale, farà soccombere davanti a te i tuoi nemici (Dt 28,1-11).
Anche un manifesto, ante litteram, politico-elettorale.
Ma sempre nel medesimo Deuteronomio un antico profeta, Mosè, consegna al popolo uscito dal deserto parole che sono il suo testamento e che intravedono i giorni della seduzione: sarà un proliferare di parole anche fascinose, ma irrimediabilmente vuote, seducenti e forvianti.
Fare attenzione alle parole, quindi: non basta loro il luogo in cui vengono proclamate o chi le dice per essere tenute sacre o vere o decenti.
Allora: l’uomo benedetto da Dio per la sua fedeltà è potente, ricco, rispettato, temuto, vive a lungo e ha inoltre numerosi discendenti: la massima e più appagante prospettiva si possa immaginare per la vita terrena.
Che alla vita terrena, appunto e nondimeno, rimane indissolubilmente collegata perché la religione di Israele non conosceva altro destino per l’uomo se non lo Sheol, luogo in cui dopo la morte andavano tutti, buoni e cattivi, onde la ricompensa non poteva che essere parametrata sempre e unicamente nella sola prospettiva terrena.
Ancora intorno a duecento anni circa prima di Gesù l’influsso della filosofia greca, che pensava alla immortalità dell’anima, provocò la reazione di Qohelet il quale intese contestare la novità: […] Non esiste superiorità dell’uomo rispetto alle bestie, perché tutto è vanità. Tutti sono diretti verso la medesima dimora: tutto e’ venuto dalla polvere e tutto ritorna nella polvere (Qo 3, 19-21) e Vi è una sorte unica per tutti, per il giusto e l’empio, per il puro e l’impuro, il buono e per il malvagio. Questo è il male in tutto ciò che avviene sotto il sole: una medesima sorte tocca a tutti (Qo 9,2-3).
Cercare nell’Antico Testamento fonti letterarie cui ancorare, oggi, una qualsivoglia teologia della prosperità è come portare vasi a Samo: semplice, ma inutile e, nella sostanza, deviante oltre che ipocrita perché non tiene conto, a esempio, di tutta quella gran parte, sempre della medesima Bibbia, attribuibile a Profeti, Salmi e scritti sapienziali che il rapporto dell’uomo con la ricchezza lo impostano non dalla parte del potente, ma al contrario e dalla parte del debole: il povero, la vedova, l’orfano alle cui invocazioni e lamenti il Signore presta ascolto.
Teologia comprensibile, sebbene nei crudi fatti contraddetta dalla realtà che continuava, come continua, a presentarsi diversa onde un autore ignoto arrivava a scrivere la vicenda di Giobbe per dimostrare come il buono potesse, senza sua colpa, essere preda delle maggiori disgrazie.
E così anche per il finale di Giobbe il benessere materiale terreno, unico a essere empiricamente individuabile, continuava a essere ritenuto lo schema principale di riferimento etico-teologico.
Il nuovo e rivoluzionario principio di una vita diversa e ulteriore dopo quella terrena emerge solo con Daniele (Dn 12,1-2), nel secondo secolo a. C., ed è lungamente avversato dalla classe sacerdotale dei Sadducei per cui spetta a Gesù presentare per primo un vivere diverso e ulteriore rispetto a quello terreno: in grado di superare la morte e perciò una vita eterna.
Con il che, nel Nuovo Testamento, cambia radicalmente e definitivamente la prospettiva di come valutare la ricchezza materiale sulla quale, anzi, sono posti numerosi e significativi avvertimenti.
Va da sé che non da oggi, ma da sempre, molti (in ciò seguaci attenti anche se forse non sempre consapevoli di Qohelet) preferiscono non credere, esercizio più agevole di ogni altro, oppure anche credere, ma a patto di credere quello che loro piace sentirsi predicare.
Gli iddii fatti a immagine e somiglianza dell’uomo faber, potente e ricco, sono vecchi come il mondo e l’idolatria, fin già dal Sinai, non manca mai di sostenere e anzi di abbellire i passi di quanti pur vogliono un dio, ma dalla propria parte.
Curioso siano, all’interno del protestantesimo americano, proprio fra le correnti di pensiero evangeliche predicanti la salvezza attraverso la fede in Gesù Cristo e, allo scopo, la diffusione del Vangelo, alcune voci -clamanti tutt’altro che nel deserto- a sventolare un principio come quello del primato della prosperità materiale che nel Vangelo non solo non esiste per nulla, ma è un puro e semplice falso (fare attenzione alle parole).
Principio in ogni caso non recente, ma già noto, in particolare nella cultura religiosa anglosassone, fin dal XVIII secolo e almeno in parte collegabile anche alla dottrina della predestinazione che ha indotto a cercare nei fatti visibili segni di benedizione divina: nella ricchezza e nel successo economico.
L’insegnamento di Calvino, a esempio, ha probabilmente contribuito a promuovere queste considerazioni dato che predicava un modo di vivere sobrio e imperniato su lavoro e disciplina cui non è raro, nella realtà, conseguano anche buoni risultati economici.
Ciò ha altresì aiutato lo sviluppo di una mentalità capitalistica ispirata all’accumulo di ricchezza e anche di comportamenti politici basati su principi religiosi legittimanti.
Al pari di quello attuale repubblicano USA con ispirazione WASP (White Anglo-Saxon Protestant) che è dura reazione verso il precedente sistema democratico -accusato, fra l’altro, di corruzione morale- e non manca occasione per evocare a favore dei propri destini (dalla salvezza fisica del candidato alla sua schiacciante vittoria elettorale) una persistente e pervasiva volontà divina.
LMPD